Negli ultimi anni, finalmente, anche in Italia si vanno espandendo le c.d. forme di finanza innovativa.
Le forme di investimento nel capitale di rischio delle imprese sono nate negli Stati Uniti negli anni ’40 per poi attecchire anche in Europa, prima in Inghilterra e poi nel resto d’Europa.
Quelli di cui stiamo parlando sono di canali di finanziamento, prevalentemente a titolo di capitale di rischio e che riguardano le imprese (c.d. target) che non sono quotate in borsa.
In particolare le forme di finanziamento che ci interessano sono quelle del Private Equity e del Venture Capital.
Con il termine Private Equity ci si riferisce ad un vasto tipo di operazioni di investimento che viene compiuto da investitori istituzionali, chiamati general partners, i quali entrano nel capitale, come sopra accennato, delle imprese target nelle diverse fasi del ciclo “vitale” delle imprese stesse; imprese le quali sono solitamente caratterizzate dal non essere quotate in borsa, dall’avere un elevata capacità di generare flussi di cassa costanti e prevedibili e con un tasso di crescita rilevante.
Nello specifico, nel Private Equity, gli investitori intervengono o in una fase di sviluppo dell’impresa che già opera da diverso tempo e che si concrettizano in finanziamento di progetti di espansione, di partnership, internazionalizzaione, rete di imprese ecc ecc., oppure si ricorre al Private Equity nella fase di cambiamento dell’assetto proprietario dell’impresa, magari anche per far fronte al naturale ricambio generazionale; queste operazioni vengono definite replacement e buy out.
Si parla, invece, di Venture Capital quando gli investitori intervengono nella fase di nascita dell’impresa e le operazioni hanno come obiettivo quello di apportare capitale al fine di finanziare, appunto, una nuova impresa c.d. start up o al fine di finanziare un nuovo progetto c.d. seed.
Si deve tener ben presente che nel caso delle start up l’investimento è esposto ad un rischio certamente considerevole in quanto ha ad oggetto un “soggetto” nuovo che si affaccia sul mercato per la prima volta.
Nel caso del Venture Capital gli investitori hanno come scopo quello di acquisire le quote dell’impresa per un periodo ridotto, dai 3 ai 10 anni.
I fondi di investimento, attraverso i quali vengono poste in essere le suddette operazioni, si occupano di raccogliere i fondi dagli investitori istituzionali i quali assumono il ruolo di limited partners.
L’attività del fondo si andrà a svolgere in un arco di tempo tra i 5 e i 30 anni durante i quali il fondo stesso si occuperà, prima, di effettuare gli investimenti (solitamente ogni fondo ne effettua una decina in modo da poter massimizzare il rendimento), e poi, procede nella gestione degli investimenti fatti in modo da poter giungere alla realizzazione dei valori stimati.
Si rammenta, infine, che l’art. 38 del Decreto Rilancio, pubblicato il 19 maggio scorso, ha aumentato dal 30% al 50% la detrazione d’imposta per le persone fisiche che investono in start up innovative o in Pmi innovative.
Tali agevolazioni sono state concesse ai sensi del
regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre
2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis»
La detrazione in questione si applica agli investimenti che non superino l’importo di € 100.000,00 e deve essere mantenuto, pena la decadenza dal beneficio, per almeno 3 anni.
La misura va ad affiancarsi alle agevolazioni fiscali già previste dalla normativa italiana per incentivare gli investimenti in start up e Pmi innovative.
La Relazione illustrativa che accompagna il Decreto Rilancio dichiara che: “si intende invece incentivare la raccolta di capitale per quelle start up innovative e Pmi innovative che hanno valori della produzione ridotti, e potenziarne la capitalizzazione, per favorirne la crescita e più in generale per colmare il divario esistente tra l’Italia e altri Paesi UE nel venture capital rivolto a queste categorie di imprese”.
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