Recentemente la Cassazione (Cass., sentenza n. 1887/2021, pubblicata il 04/03/2021) è tornata ad esprimersi in merito all’abuso di maggioranza e, più in particolare, lo ha fatto in riferimento all’ipotesi di scioglimento anticipato di società, pronunciandosi, al contempo, su altri interessanti temi.
La vicenda da cui prende le mosse la decisione in questione è quella, abbastanza ricorrente, in cui una S.r.l. vede come suoi soci persone legate anche da vincoli di parentela.
Brevemente, si rammenta che l’Ordinamento Giuridico Italiano non prevede alcuna norma specifica nella quale venga espressamente individuata la figura dell’abuso di potere nelle deliberazioni assembleari.
Tuttavia, sia la Giurisprudenza che la Dottrina riconoscono l’esistenza di questa fattispecie e ne individuano la sussistenza quando la deliberazione sia presa:
- in assenza di qualsivoglia interesse della società;
- in presenza di un intento fraudolento da parte dei soci di maggioranza.
È, altresì, importante ricordare che il principio maggioritario rappresenta lo strumento attraverso il quale la società può perseguire l’oggetto sociale, muovendosi nel tempo con celerità, e la tutela che il Legislatore riconosce al socio di minoranza risiede nel diritto di esercitare l’azione di annullamento della delibera (ex art. 2377 c.c. nel caso della S.p.a. e ex art. 2479 ter c.c. nel caso delle S.r.l.).
Nella vicenda in esame, l’attore lamentava la natura abusiva del comportamento del convenuto in merito alle dinamiche che avevano condotto all’accertamento dello stato di liquidazione della società, con conseguente nomina di un liquidatore, sostenendo che la condotta del convenuto era tesa ad accaparrarsi, a prezzi di vantaggio, il patrimonio immobiliare della società medesima.
Per tale motivi, l’attore chiedeva che il convenuto fosse condannato a risarcirgli i danni (che assumeva essere composti dai costi di liquidazione, dalla differenza tra il valore di mercato dei ridetti immobili e il valore di realizzo degli stessi, dai canoni di locazione non percepiti dalla Società, dalla differenza tra il valore che le sue quote avevano al momento dell’inizio della liquidazione e quello che avevano al momento del termine della stessa, dalle spese legali).
Si badi inoltre che l’attore spiegava la propria domanda risarcitoria quale azione di risarcimento extracontrattuale ex art. 2043 c.c. chiedendo il risarcimento sia per sé che per la società.
Ebbene, queste le premesse che hanno determinato la Cassazione a rilevare, innanzitutto, che l’attore aveva omesso di specificare quale fosse il titolo in virtù del quale agiva; titolo che doveva essere ricondotto nell’alveo dell’azione surrogatoria ex art. 2900 c.c. il quale dispone che il socio di una società in liquidazione, in quanto creditore verso la società della sua quota dell’attivo di liquidazione, è legittimato a esercitare contro i terzi tutti quei diritti che la società ometta di azionare.
Ribadita la qualificazione della domanda attorea, la Cassazione ha ritenuto di condividere e riaffermare i principi già enunciati dalla medesima Corte nel lontano 2005 secondo cui: “La deliberazione di scioglimento anticipato di una società può essere invalidata, in difetto delle ragioni tipiche all’uopo previste, sotto il profilo dell’abuso della regola di maggioranza, quando risulti arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci maggioritari al solo fine di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero di ledere gli interessi degli altri soci. La relativa prova incombe sul socio di minoranza il quale dovrà a tal fine indicare i “sintomi” di illiceità della delibera – deducibili non solo da elementi di fatto esistenti al momento della sua approvazione, ma anche da circostanze verificatesi successivamente – in modo da consentire al giudice di verificarne le reali motivazioni e accertare se effettivamente abuso vi sia stato. Peraltro, all’infuori della ipotesi di un esercizio “ingiustificato” ovvero “fraudolento” del potere di voto ad opera dei soci maggioritari, resta preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza alla votazione della delibera di scioglimento anticipato della società, essendo insindacabili le esigenze relative all’economia individuale del socio che possano averlo indotto a votare per tale soluzione dissolutiva. Non è impugnabile per conflitto di interessi la delibera di scioglimento anticipato della società ex art. 2448 n. 5 cod. civ. (ora art. 2484 n.6 cod. civ.) in quanto la situazione di conflitto rilevante ai fini dell’art. 2373 cod. civ. deve essere valutata con riferimento non già a confliggenti interessi dei soci, bensì a un eventuale contrasto tra l’interesse del socio e l’interesse sociale inteso come l’insieme degli interessi riconducibili al contratto di società tra i quali non è ricompreso l’interesse della società alla prosecuzione della propria attività, giacché la stessa disciplina legale del fenomeno societario consente che la maggioranza dei soci ponga fine all’impresa comune senza subordinare tale decisione ad alcuna condizione”. (Cass., n. 27387/2005).
Per tali motivi la Cassazione rigettava la domanda dell’attore precisando che non è configurabile un interesse proprio della società alla sua stessa sopravvivenza e che, l’aver il convenuto determinato il venire ad esistenza di una causa di scioglimento non può essere qualificato come comportamento abusivo poiché lo scioglimento anticipato è frutto della mera volontà dei soci.
Puntualizzava altresì la Corte che dal principio secondo cui la società non ha interesse alla sua sopravvivenza, ne discende il dover escludere che possa essere qualificato come pregiudizio, subìto dalla società medesima, il prodursi di tutti gli effetti che conseguono alla procedura di liquidazione.
Avv. Gabriele De Santis
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